Sesso non è identità di genere: dunque la decisione del Tribunale di Trapani non ha senso

Non è nuova la notizia. Ad un transgender 53enne di Erice è stato permesso di cambiare nome e sesso all’anagrafe solo perché “si sente donna”, pur non avendo egli conseguito alcun intervento di riassegnazione chirurgica del sesso e pur non avendo alcuna intenzione di programmarlo in futuro. Come per magia, da un giorno all’altro, Emanuele, nome dell’uomo, è così “diventato” per lo Stato Italiano una donna: “Emanuela”.

Sembra non fosse mai successo prima nel nostro Paese. E molti giornali, era prevedibile, ne hanno subito parlato in toni sensazionalistici. Ad esempio:

Se tuttavia si puliscono le lenti dalla patina di narrazioni e forzature imbastite, come quella di Fanpage che, ai limiti del ridicolo, ha parlato di questa persona transgender come di “una signora di Erice”, non è difficile constatare una macroscopica confusione concettuale nelle pagine di giornale e nelle “spiegazioni” di quanto accaduto, che porta ad un’unica conclusione: la sentenza emessa dal Tribunale di Trapani non ha senso

Prendiamo ad esempio questo articolo comparso su L’Espresso. Notare prima ciò che viene scritto nel titolo: “Cambio di sesso ‘anche senza operazione’: cosa dice veramente la sentenza di Trapani“. E poi invece all’interno del pezzo: il tribunale “ha riconosciuto a una persona transgender il diritto di cambiare nome e identità di genere all’anagrafe“. E’ tutto ok? Non esattamente. Perché all’anagrafe, nei documenti, è riportato il sesso della persona, maschio o femmina, non la sua “identità di genere”.

Eppure troviamo la questione trattata a quel modo praticamente ovunque, come con lo stampino. Su Repubblica ad esempio: “il tribunale di Trapani le ha riconosciuto il diritto di cambiare nome e identità di genere all’anagrafe senza alcun intervento chirurgico“.

“Sesso” non è la stessa cosa di “identità di genere”. Quante volte lo abbiamo sentito ripetere proprio da coloro che avallano e promuovono le idee LGBT? Sostenendo magari che, chi le critica, fa confusione fra concetti e non ha ben chiaro ciò di cui parla? Ebbene qui sembra avvenire proprio il contrario. A far confusione è chi non dovrebbe farla. Ma forse tale confusione è voluta, poiché altrimenti risulterebbe lampante l’insensatezza di tutta la vicenda. Per capirlo bene diamo brevemente un occhio ai due concetti in ballo.

Cos’è il sesso? Non c’è bisogno di scrivere una sillaba a riguardo. L’unica cosa magari da sottolineare è che si tratta di un dato oggettivo, esterno e indipendente dalla mente dell’individuo. Sulla “l’identità di genere” invece le cose si complicano.

Non solo per via della sua definizione, in quanto contiene la parola “genere”, che a sua volta è soggetta a più interpretazioni e significati a seconda di chi la usa. Ma soprattutto per il fatto che “genere” e “identità di genere” non si riferiscono a qualcosa che ha lo stesso grado di esistenza del sesso biologico. Cosa significa questo? Che prima di dare per scontati questi concetti e di usarli sarebbe opportuno condurre una riflessione sulla loro fondatezza e scientificità, perché c’è il rischio che non descrivano qualcosa di reale. Cosa che non viene mai fatta e che purtroppo non può essere fatta nemmeno qui ed ora.

Assumendo tuttavia che abbia senso parlare di “genere” e “identità di genere”, potremmo descrivere quest’ultima come il senso di appartenenza ad uno dei due sessi/generi. E’ la consapevolezza immediata di una persona di essere maschio o femmina. Ma è anche la sensazione, la percezione, il desiderio di identificarsi o essere del sesso/genere opposto rispetto al proprio: in questo secondo caso denota la condizione di transessuale o transgender. E’ dunque l’esatto contrario del sesso, poiché trattasi di un aspetto (non un dato) soggettivo, interno e totalmente dipendente dalla mente dell’individuo.

Ora: la legge n. 164 del 14 aprile 1982 riguarda la rettificazione del sesso, non della “identità di genere”. Affronta e regola la situazione della transizione sessuale di un individuo in Italia, non i pensieri soggettivi che ha su di sé. Non è quindi lo strumento adeguato se una persona vuol far valere il presunto “diritto a cambiare identità di genere”, qualsiasi cosa questa espressione significhi. Anche perché, è oltremodo evidente, non si vede proprio come possa un’altra persona, un’autorità o lo Stato Italiano stesso far “cambiare” ad un individuo il modo in cui si auto-percepisce. O ancora impedirgli di auto-percepirsi come vuole, anche come gatto se lo desidera.

Lo scopo della legge 164 è riconoscere l’avvenuto cambiamento di sesso, dunque “aggiornare” quello che è a tutti gli effetti un dato oggettivo su di una persona. Non compiacere gli individui con ciò che questi vogliono sentirsi dire. Del resto, anche questo è piuttosto evidente, non è la sentenza di un tribunale o la semplice modifica su di un documento a “far diventare” qualcuno uomo o donna.

Quale senso ha avuto dunque far cambiare anagraficamente di sesso Emanuele quando la questione era la sua “identità di genere”? Nessuno. Ciò che materialmente è avvenuto con la sentenza di Trapani è stato permettere che venisse scritto il falso su di un cittadino all’interno di documenti ufficiali. Documenti che hanno lo scopo di riportare dati oggettivi sulla persona al fine di riconoscerla, non i suoi sentimenti, i suoi auto-pensieri su sé stessa. Anche a seguito della modifica effettuata, tali documenti continuano ad indicare il sesso di Emanuele, adesso erroneamente, non la sua “identità di genere”.

Le conclusioni sono quindi due: la prima è che tutti i giornali che hanno parlato di “cambiamento dell’identità di genere” hanno fatto disinformazione sulla questione. La seconda, è che la sentenza del tribunale di Trapani è priva di senso, finendo non solo per portare confusione fra i concetti di sesso e identità di genere in documenti e prassi giuridiche, ma anche per avallare quella che è chiaramente solo una tendenza ideologica, che nulla ha a che fare con i “diritti”: sostituire il sesso con l’identità di genere.