Pensioni: così non va!

    Pochi giorni fa è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il disegno di legge sulla legge di bilancio 2022 che successivamente approderà al Senato della Repubblica per i necessari emendamenti e per il successivo passaggio alla Camera dei Deputati per diventare a tutti gli effetti legge dello Stato.

    Tra i punti approvati uno in particolare che riguarda milioni di lavoratrici e lavoratori italiani è del tutto insoddisfacente. Mi sto riferendo in particolare all’approvazione di quota 102 (64 anni di età + 38 anni di contributi) per l’anno 2022 per accedere al pensionamento.

    Dopo la sperimentazione di “quota 100” votata dal governo giallo/verde per gli anni 2019-2020-2021 per non incorrere in uno scalone di cinque anni che si sarebbe formato il 1/1/2022 con spostamento dell’età di accesso al pensionamento dai 62 anni attuali ai 67 anni della legge Fornero l’esecutivo è stato costretto ad intervenire.

    Il governo Draghi avrebbe avuto tutto il tempo per preparare una nuova legge organica e strutturale ed invece di rinvio in rinvio si è arrivati alla fine dell’anno inserendo unquota argomento di tale portata nella legge di bilancio.

    Di tutte le proposte che erano sul tavolo 41 anni per tutti oppure flessibilità a 62 anni, o in alternativa la scelta di uscire dal mondo del lavoro a 63 anni percependo solo la parte di contributivo e poi a 67 anni ottenere anche la parte di retributivo, e ancora lasciare il lavoro a 63 anni con una piccola penalizzazione dell’1,5% annuo rispetto ai 67 anni di età si è deciso di continuare con le quote proponendo “quota 102”.

    Questo sistema delle quote, già sperimentato con quota 100 non è equo perché permette solo alle persone che posseggono entrambi i requisiti (38 + 62) di usufruirne escludendo magari persone che hanno versato più anni di contributi. Adesso si propone quota 102 con un aumento dell’età anagrafica da 62 a 64 anni di età.

    Inoltre, si propone di rinnovare opzione donna per il solo 2022 ma anche in questo caso aumentando l’età necessaria di due anni da 58 anni a 60 per le lavoratrici dipendenti e da 59 a 61 per le lavoratici autonome, a cui, è bene ricordarlo, è necessario aggiungere una finestra di 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

    Inoltre, ed è un fatto positivo, viene esteso l’elenco dei lavori gravosi permettendo ad alcune categorie come per esempio magazzinieri, maestri elementari, conduttori d’impianti ed estetisti l’accesso all’Ape sociale. Ma in questo caso l’importo massimo erogabile è di 1.500 € lordi (1.150 € netti) e solamente per dodici mensilità fino al raggiungimento dei 67 anni di età.

    Io personalmente avrei optato per una flessibilità in uscita a partire dalla pensione anticipata indipendentemente dall’età. Partire in pratica dagli attuali 42 anni e dieci mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne e permettere un’uscita dal mondo del lavoro fino a tre anni di anticipo.

    L’uscita sarebbe solo ed esclusivamente volontaria da 38 anni e 10 mesi per le donne e 39 anni e 10 mesi per gli uomini, si otterrebbe l’assegno calcolato con il metodo contributivo e poi raggiungendo i requisiti previsti dalla legge Fornero si otterrebbe l’assegno pieno per sempre.

    Il governo, invece, sentendo i “rumors” che filtrano dal MEF penserebbe ad una opzione per tutti. Tutti potrebbero accedere al pensionamento optando però per sempre per il calcolo totalmente contributivo.

    Per fortuna c’è ancora tutto il passaggio parlamentare per operare quei cambiamenti rispetto alle scelte del governo. Sperando che ci sia una convergenza su questo argomento da parte delle forze politiche.

    Il costo non sarebbe elevato e si potrebbe recuperare dalla fine di “quota 100” che ha fatto risparmiare circa 7 miliardi dal momento che hanno aderito meno persone del previsto e, purtroppo, dai mancati assegni erogati dall’INPS a causa dei decessi dovuti alla pandemia, nonché dai maggiori ricavi percepiti dallo Stato in seguito al forte incremento del PIL che dovrebbe avere un’espansione di oltre il 6% rispetto all’anno precedente.

     

    Articolo scritto da Mauro Marino

    esperto in economia