Arte contemporanea: altalene e imbrogli tra prezzo e valore

Quella del mercato dell’arte è una questione complessa. Addetti ai lavori e pubblico ignaro sanno di avventurarsi in un terreno fatto di sabbie mobili, capace di farci sprofondare nei giudizi più affrettati e arbitrari o in quelli di pancia dettati il più delle volte dal significato che diamo alla parola arte.  I profeti più geniali da Andy Warhol a Piero Manzoni, oltre ad avventurarsi nell’analisi di questa situazione, ci hanno predetto tramite i loro capolavori rischi e pericoli.

Ci hanno detto che le categorie dell’anima (o quelle politico-sociali) nell’arte di questo Ventunesimo secolo non hanno ragion d’essere. Sono utopie che dimenticano quanto l’estetica abbia esaurito le sue risorse.

Le nuove esigenze della commercializzazione globale impongono alla storia dell’arte di fare i conti con statistiche, operazioni in borsa e scambi diplomatico-commerciali che annullano di fatto i valori che venivano assegnati un tempo all’opera d’arte.  Dunque non c’è alcun direttore di museo d’arte antica o moderna che pensi davvero al fatto che “l’arte non abbia prezzo”.

Emozioni, essenza, magia e capacità di visione sono valori ormai presenti solo nell’occhio di chi guarda che – nei grandi eventi di massa -possono perfino dare fastidio.

Eppure noi continuiamo a pensare cose contraddittorie. Da una parte crediamo che l’arte non abbia prezzo, ma allo stesso tempo siamo sicuri che quel costo eccessivo abbia un motivo valido che ne giustifica fama, onore e gloria. Arte come investimento.

Prova ne sia il fatto che nella compravendita dell’arte esiste una nascosta quanto immensa proprietà privata di quadri ed un fiorente mercato che vede coinvolti acquirenti (privati, musei, istituzioni varie), esperti (studiosi, consulenti), commercianti (gallerie d’arte, case d’aste) con una rilevante attività economica.

Attualmente il mercato della pittura è considerato piuttosto opaco, al punto che qualcuno sta già pensando a software in grado di calcolare e ipotizzare il prezzo di un quadro, seguendo il valore assegnato dai galleristi a livello planetario, in modo da impedire ai prezzi d’essere maggiorati all’occorrenza.  Dal momento che più della metà delle transazioni avvengono tra privati in modo riservato (con la complicità del web), molto di ciò che accade rimane fumoso. Recentemente, alcuni archeologi ci hanno detto che in pieno lockdown si sono registrate strane vendite online a musei e collezionisti dei monumenti abbattuti dall’ISIS nel 2015.

È per questo che si dice che pochissimi capolavori passano attraverso le case d’aste. Dunque, visto che solo queste ultime rendono pubbliche le quotazioni delle vendite, non è possibile essere certi di frodi e illeciti nelle transazioni private.

L’unica possibilità di stimare il valore di un’opera sta nell’aiuto di uno studioso e di un gallerista serio e motivato che per analogia, ci facciano il confronto con le quotazioni di opere equivalenti dello stesso autore o con i coefficienti di suoi colleghi ritenuti di pari grado. Evidentemente anche così, esistono ampi margini di variabilità nelle valutazioni.

Le quotazioni reagiscono a molti leggeri cambiamenti di gusto e di curiosità. Al punto che ciò che andava bene ieri, oggi non lo è più e invece ciò che è chiacchierato è più facile da vendere di ciò che viene creato nel chiuso di un laboratorio sincero ma solitario. Questa è l’amara riflessione di moltissimi studiosi e artisti che provano a sollevare i veli pensando al giudizio o cercando quelle caratteristiche utili a determinare la qualità dell’arte.

Dunque pur essendo molto cambiata la visualità e le occasioni per fruire le immagini, molti parlano di bellezza, di abilità, di significato intrinseco o di unicità senza accorgersi che l’espressione artistica di questo nuovo millennio ha almeno due dominanti. Due linee di condotta che invitano l’artista a lavorare da un lato ad un’arte socialmente estroversa, dissacratoria e spettacolare e dall’altro lo convince a fare un’arte autonoma, non legata al cambiamento sociale, arte introversa che punta al mondo privato dell’artista.

In entrambi i casi queste diverse tipologie di opere ci chiedono di mettersi seduti a leggere per un paio d’ore ciò che hanno da dirci e di accettare di “conoscersi” come accade con una persona che ci hanno appena presentato. Per entrambe le dominanti di pensiero cioè non ci sono né canoni di riferimento né schemi iconografici fissi.

Dunque mentre noi siamo a disquisire non sull’oggetto ma sulla disciplina in maniera generica, artisti da tutte le latitudini denunciano o fanno proprie le pecche di un meccanismo che stritola chi si trova lungo il suo percorso, assegna premi oppure dimentica a seconda dell’entità fisica dello sponsor.

Gli altri stanno a metà strada e guardano con disgusto e ammirazione gli artisti più determinati ad orientare il prezzo delle loro opere come Murakami o Damien Hirst le cui quotazioni di mercato vengono abilmente manovrate da gruppi d’acquisto sempre meno trasparenti.

Il problema è che lo stato dell’arte contemporanea in Italia rischia di passare dal caotico al pessimo. Intanto perché mancano istituzioni e gallerie private che sappiano davvero promuovere gli artisti italiani e poi perché manca un collegamento vero con chi pensa che l’arte contemporanea sia solo un groviglio di inestricabili astrusità. Cose di difficile comprensione che pochi intellettuali ci spiegano dicendoci solo quanto l’incomprensibile sia geniale.

In verità le eccellenze ci sono e non sono inferiori agli artisti europei, americani o asiatici. Il problema è che chi detiene la leadership a livello mercantile sono le grandi multinazionali dell’arte e nessuna di queste è italiana. Inoltre, queste accelerazioni di trend repentine e contrastanti e il relativo saliscendi di prezzi ha davvero ben poco a che fare con il valore dell’arte. Forse è giunto il momento di chiedersi e poi di formulare un significato per la parola “arte” che escluda la questione puramente economica e provi quindi a misurarsi con definizioni diverse (prospettive ecologiche, filosofiche, etiche?) da abbinare alla parola “valore”.

 

Matilde Puleo